La parte ironica di questo articolo è che sarebbe dovuto essere pubblicato a settembre. Fallito l’obiettivo dello scrivere prima del 27, ho posticipato la cosa al 15-20 ottobre. Neanche a parlarne.
Nello specifico è successo che il 2 ottobre ho cambiato casa. Ho passato giorni con uno scatolone come scrivania, l’hotspot come unica via verso il mondo, la batteria del telefono che andava fuori uso ogni tre per due, un gatto depresso che ha pianto per giorni e notti intere – e sembrava non sapesse fare altro, oltretutto – un fiume di burocrazia che manco il Niger in piena, una serie di impegni personali non procrastinabili e un’agenda carica di lavori, workshop e call che la sveglia delle 6 mi sembrava fosse troppo tardi. Nel mentre il classico impegno pratico-emotivo di chi cambia casa e deve gettare le basi per un nuovo equilibrio domestico, sociale e bla bla bla. Mentre tutto ciò accadeva (e continuava ad accadere) ho pensato di scrivere un articolo sulla produttività.
La verità – ma l’ho capito dopo – è che mi sono sentita in colpa. Da 7 anni lavoro come coach agile e user researcher freelance e, per la prima volta nella mia vita, stavo lasciando indietro una parte (non sostanziale, siamo d’accordo) del mio lavoro a favore d’altro. Pur consapevole che con un sacco di impegno, un’ottima concentrazione e una mira da cecchino avrei portato a casa anche lo scrivere, ho deciso di abbandonare la nave perché non potevo correre il rischio di un duetto con Scarda sulle note di “Io volevo tutto // Ma l’ho stretto troppo forte // E l’ho distrutto“.
Esistono cose importanti e cose urgenti, veniamo a patti con loro 🙂
Quindi, tormentata da un concetto filosofico quanto pratico – e storicamente misurabile – mi sono messa a leggere cose sulla produttività come se fosse la prima volta. A valle di tutti i miei approfondimenti sono riuscita a focalizzare un paio di considerazioni che – a questo punto – sono felice di condividere. Ah, se vai di fretta sappi che le trovi in fondo.
Punto primo.
Dal punto di vista economico la produttività misura la produzione di output nel tempo. Quindi più produci in un minuto e più sei produttivo, meno spendi per produrre quel bene e più sei efficiente. Oltretutto, da un punto di vista macroeconomico, la produttività di una comunità, un’organizzazione o di un Paese è considerata la base della sua crescita economica, della sua salute e della crescita del suo tenore di vita.
Tanto abbiamo creduto a questa cosa che ormai siamo invischiati in un sistema vizioso, consumista e ben poco sostenibile dal punto di vista ambientale che – per ragioni naturali – ha fatto si che nascesse un movimento opposto e contrario a quello storicamente diffuso e radicato. Per chi non lo ha ancora visto, c’è un bellissimo documentario su Netflix a riguardo.
Punto secondo.
Finchè il concetto di produttività è rimasto all’interno di campi agricoli e stabilimenti produttivi – quindi faceva riferimento a sistemi economici basati sulla produzione di beni – la cosa ha funzionato, ma con l’arrivo degli uffici, dei servizi, della digitalizzazione, della globalizzazione e dei knowledge worker il concetto di produttività – così com’era conosciuto – ha iniziato a fare acqua.
Si è cercato di far funzionare le persone come delle macchine e di ottimizzarne la produttività pro-capite dando vita a un cambiamento radicale personale, economico e sociale senza precedenti e con scarsi frutti visto che, per quanto difficile e sfidante, l’ottimizzazione di un sistema meccanico non può essere traslato su un essere umano.
Complicato e complesso, trova le differenze!
A questo punto credo sia importante fare un appunto: il termine knowledge worker, che ancora non vanta la stessa notorietà della parola Coca Cola o smartphone, è stato coniato da Peter Drucker nel 1959 con la pubblicazione del suo libro Landmarks of tomorrow per identificare tutte le persone che lavorano grazie alla loro conoscenza per produrre nuovo sapere e/o nuove soluzioni, in senso ampio.
Come si misura un pensiero? Come si quantifica l’intangibile?
Se da una parte è chiaro che non è possibile usare la stessa bilancia e la stessa formula matematica che usiamo per misurare un sistema produttivo materiale, dall’altra parte è altrettanto chiaro che non si sia ancora arrivati ad una risposta altrettanto univoca. Ci sono delle narrative attorno a questo tema che, chissà, magari un giorno ci daranno una risposta altrettanto logica e stabile, ma ad oggi si parla di tecniche per essere più produttivi, di talento personale da far fiorire, di integrare la vita personale e professionale, di felicità, crescita, reputazione e network. Ecco, in poche parole si parla molto di tutti quegli aspetti che possono aiutare un knowledge worker a fiorire, ma non a misurare la sua produttività.
Punto terzo.
Sono cambiati i lavoratori perchè è cambiato il lavoro e tante altre condizioni a contorno.
Organizzazioni e professionisti, in qualche modo, sono dovuti venire a patti con una nuova realtà spostando buone parte delle conversazioni sul come si dovrebbe o potrebbe lavorare meglio (e non necessariamente di più) con l’obiettivo di prosperare in un mondo ad altissima variabilità e a scarsa prevedibilità dove il punto focale non può più essere quello di seguire un piano per raggiungere un obiettivo che magari domani non serve più, quanto quello di sapere cosa fare per portare valore atteso sul mercato nei giusti tempi. Accanto al concetto di efficienza, sempre amico della produttività, si è fatto più forte quello di efficacia.
Tanto è forte la spinta rivoluzionaria di una nuova concezione del lavoro che Jacopo ha stravolto – in meglio – la vita di così tante organizzazioni negli anni tanto da scriverci il libro “extreme contracts“, mentre Cocoon Pro festeggia i suoi primi 10 anni e lancia questo documentario bellissimo.
Quando è iniziata questa migrazione del pensiero?
Nel 1975 Fred Brooks ha avviato conversazioni interessanti sulla base delle sue esperienze con nuovi modi di fare, poi nel 2000 è arrivato il Manifesto agile con i suoi valori e principi, nel tempo sono arrivate delle soluzioni applicate a questa cultura come scrum, kanban o scrumban, il modello liquido, sociocratico, quello di Spotify e tanto, tanto altro, ma al di là delle vicende a me piacerebbe che siano chiari due temi:
- il primo è che agile o Agile che dir si voglia è un modello culturale, non esistono prescrizioni all’uso, all’implementazione e all’adattamento. Non ci sono regole, pensa te!
- il secondo è che, a differenza di quello che scrive Cal Newport il framework di riferimento non sposta la produttività dalle persone al modello organizzativo di lavoro, ma permette a chi lavora oggi di farlo in modo più allineato alla velocità e ai cambiamenti radicali in cui siamo immersi. La produttiivtà si trova proprio all’incrocio tra il framework di riferimento e la capacità umana di saperlo usare al meglio.
Un framework è un perimetro, un contenitore e non un contenuto. Quello che ci metti dentro dipende dalle persone, dalla loro conoscenza, dal loro modo di fare sense-making e dalle loro esperienze. La cultura agile è un percorso, non la soluzione. E’ come una pista da sci: ti assicura un percorso sicuro verso la valle e non di farlo tutto in piedi mentre ti godi il panorama e, ancora meno, garantisce sulla qualità dello sciatore.
A valle di questa lunga serie di osservazioni, riflessioni e narrazioni l’unica cosa che so è che nel lavorare con tanti team e organizzazioni, l’adozione di un modello tattico e culturale più vicino alle dinamiche reali è sicuramente un valore aggiunto per rimanere nell’incertezza di questi tempi senza venirne affogati, ma oggi più che ieri sono le persone – con i loro 2000 e passa anni d’evoluzione intrisi nel DNA – a dover e poter fare la vera differenza.
Siamo in viaggio verso un nuovo e non univoco mondo del lavoro e questa è solo una cartolina.
Tu misuri la tua produttività? Se si, come? Per ogni storia, riflessione, libro o approfondimento c’è spazio per tutti nei commenti 🙂
Bibliografia:
>> The frustration with productivity culture
>> The rise and fall of getting things done
>> The productivity pyramid (get yourself a promotion)
>> Redefining productiivty
>> Dan Levin: The emergence of ‘knowledge’ workers
>> Catching Song with Bobby McFerrin
>> The 6 factors of knowledge worker productivity
Photo Credits:
>> Felix Mittermermeier